Non mi appassiono molto ai dibattiti sterili ed alle polemiche. Per
stile e per convinzione, li rifuggo. Ma quando il dibattito ruota sul
territorio, allora non posso esimermi dal pensare, riflettere e dire. E’
il caso del Piano Paesistico.
Premessa d’obbligo, tanto per sgombrare il campo da interpretazioni fasulle e prestare il fianco a critiche preconcette. So e concordo che il piano paesistico ha come fine quello di preservare, tutelare, valorizzare e tramandare alle generazioni future l'identità ambientale, storica, culturale e insediativa del nostro territorio; proteggere e tutelare il paesaggio culturale e naturale, promuoverne forme di sviluppo sostenibile, al fine di conservarne e migliorarne le qualità. Su queste basi poggia la sua anima. Uno strumento di controllo che si propone di evitare che gli interventi di carattere urbanistico-edilizio rovinino il paesaggio; e su questo punto sfido chiunque a non essere d’accordo. E devono esserci delle linee guida. E questa è stata la filosofia che ha ispirato la sovrintendente Vera Greco nella sua redazione.
Nessun problema, anzi! Ma è inaccettabile che succeda quello che sta succedendo (anzi che è già successo!) in provincia di Ragusa: aver dovuto digerire un’imposizione che è arrivata dall’alto senza tener conto delle peculiarità del nostro territorio e, soprattutto quando tutti, i comuni, la Provincia e le associazioni di categoria si sono espressi uniformemente contro. Il Piano così come è stato congeniato, portato a Palermo per la sua approvazione, messo nero su bianco, “imposto”, va rivisto. Intanto perché non è stato concertato ma imposto, perché la sua istituzione rischia, secondo molti, di compromettere il futuro della nostra economia, rallentando settori trainanti come l’agricoltura, la zootecnia e l’artigianato.
Se così non è, se queste preoccupazioni sono
eccessive, se i timori di quanti hanno detto no (e sono troppi in questa
provincia per pensare che tutti, ma proprio tutti, sbaglino…), ce lo
spieghino. Ma rifiutiamo le imposizioni! Invito la Regione a rivedere
tale Piano ed a farlo subito, a cogliere i suggerimenti ma soprattutto a
parlare ed ascoltare il territorio. Vogliamo essere noi a determinare
il nostro futuro; la base (i cittadini, chi, ad esempio, in agricoltura
si sbraccia e lavora) e le rappresentanze (noi istituzioni). Allora, se
moltissimi di questi dicono che il Piano Paesistico non va bene, un
motivo ci sarà. E la Regione, l’assessore Armao non possono ignorarlo. Accà nisciunu è fesso … parafrasando il grande Totò. Questo sia chiaro a tutti!
Premessa d’obbligo, tanto per sgombrare il campo da interpretazioni fasulle e prestare il fianco a critiche preconcette. So e concordo che il piano paesistico ha come fine quello di preservare, tutelare, valorizzare e tramandare alle generazioni future l'identità ambientale, storica, culturale e insediativa del nostro territorio; proteggere e tutelare il paesaggio culturale e naturale, promuoverne forme di sviluppo sostenibile, al fine di conservarne e migliorarne le qualità. Su queste basi poggia la sua anima. Uno strumento di controllo che si propone di evitare che gli interventi di carattere urbanistico-edilizio rovinino il paesaggio; e su questo punto sfido chiunque a non essere d’accordo. E devono esserci delle linee guida. E questa è stata la filosofia che ha ispirato la sovrintendente Vera Greco nella sua redazione.
Nessun problema, anzi! Ma è inaccettabile che succeda quello che sta succedendo (anzi che è già successo!) in provincia di Ragusa: aver dovuto digerire un’imposizione che è arrivata dall’alto senza tener conto delle peculiarità del nostro territorio e, soprattutto quando tutti, i comuni, la Provincia e le associazioni di categoria si sono espressi uniformemente contro. Il Piano così come è stato congeniato, portato a Palermo per la sua approvazione, messo nero su bianco, “imposto”, va rivisto. Intanto perché non è stato concertato ma imposto, perché la sua istituzione rischia, secondo molti, di compromettere il futuro della nostra economia, rallentando settori trainanti come l’agricoltura, la zootecnia e l’artigianato.
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